Total read books on site: You can read its for free! |
(Images generously made available by Editore Laterza and the Biblioteca Italiana at http://www.bibliotecaitaliana.it/ScrittoriItalia) SCRITTORI D'ITALIA IACOPONE DA TODI LE LAUDE IACOPONE DA TODI LE LAUDE SECONDO LA STAMPA FIORENTINA DEL 1490 A CURA DI GIOVANNI FERRI BARI GIUS. LATERZA & FIGLI TIPOGRAFI-EDITORI-LIBRAI 1915 PROPRIETÁ LETTERARIA GENNAIO MCMXV--40581 I DE LA BEATA VERGINE MARIA E DEL PECCATORE --O Regina cortese,--io so a voi venuto ch'al mio cor feruto--deiate medecare. Io so a voi venuto--com'omo desperato da omn'altro aiuto;--lo vostro m'è lassato; se ne fusse privato,--faríeme consumare. Lo mio cor è feruto,--Madonna, nol so dire; ed a tal è venuto,--che comenza putire; non deiate soffrire--de volerm'aiutare. Donna, la sofferenza--sí m'è pericolosa; lo mal pres'ha potenza,--la natura è dogliosa; siate cordogliosa--de volerme sanare. Non aio pagamento,--tanto so anichilato; faite de me stromento,--servo recomperato; donna, el prez'è dato:--quel ch'avest'a lattare. Donna, per quel amore--che m'ha avut'el tuo figlio dever'aver en core--de darm'el tuo consiglio; succurrime, aulente giglio,--veni e non tardare. --Figlio, poi ch'èi venuto,--molto sí m'è 'n piacere; adomandimi aiuto,--dollote voluntere; ètte oporto soffrire--co per arte voglio fare. Medecaro per arte--emprima fa la diita; guarda li sensi da parte--che non dien piú ferita a la natura perita--che se possa aggravare. E piglia l'oximello,--lo temor del morire; ancora si fancello,--cetto ce de' venire; vanetá lassa gire,--non pò teco regnare. E piglia decozione--lo temor de lo 'nferno; pens'en quella prescione--non escon en sempiterno; la piaga girá rompenno--farallate revontare. Denante al preite mio--questo venen revonta, ché l'officio è sio;--Dio lo peccato sconta; ca se 'l Nemico s'aponta,--non aia que mostrare. II DE LA BEATA VERGINE MARIA O Vergine piú che femina--santa Maria beata. Piú che femina, dico;--onom nasce nemico; per la Scrittura splico,--nant'èi santa che nata. Stando en ventre chiusa,--puoi l'alma ce fo enfusa, potenza virtuusa--sí t'ha santificata. La divina onzione--sí te santificòne, d'omne contagione--remaneste illibata. L'original peccato--ch'Adam ha semenato, omn'om con quello è nato:--tu se' da quel mondata. Nullo peccato mortale--en tuo voler non sale, e da lo veniale--tu sola emmaculata. Secondo questa rima--tu se' la vergen prima, sopre l'altre soblima;--tu l'hai emprima votata la tua vergenetate--sopr'omne umanetate ch'en tanta puritate--mai fosse conservata. L'umilitá profonda--che nel tuo cor abonda, lo cielo se sprofonda--d'esserne salutata. Virgineo proposito--en sacramento ascondito, marito piglia incognito--che non fosse enfamata. L'alto messo onorato--da ciel te fo mandato; lo cor fu paventato--de la sua annunziata: --Conceperai tu figlio,--será senza simiglio, se tu assenti al consiglio--de questa mia ambasciata.-- O Vergen, non tardare--al suo detto assentare; la gente sta chiamare--che per te sia aiutata. Aiutane, Madonna,--ca 'l mondo se sperfonna se tarde la responna--che non sia avivacciata. Puoi che consentisti,--lo figliol concepisti, Cristo amoroso desti--a la gente dannata. Lo mondo n'è stupito--conceper per audito, lo corpo star polito--a non essere toccata. Sopr'omne uso e ragione--aver concezione, senza corruzione--femena gravedata. Sopre ragione ed arte--senza sementa latte, tu sola n'hai le carte--e sènne fecundata. O pregna senza semina,--non fu mai fatt'en femina, tu sola sine crimina,--null'altra n'è trovata. Lo verbo creans omnia--vestito è 'n te Virginia, non lassando sua solia,--divinitá encarnata. Maria porta Dio omo,--ciascun serva 'l suo como; portando sí gran somo--e non essere gravata. O parto enaudito,--lo figliol partorito entro del ventre uscito--de matre segellata! A non romper sogello--nato lo figliol bello, lassando lo suo castello--con la porta serrata! Non siría convegnenza--la divina potenza facesse violenza--en sua cas'albergata. O Maria, co facivi--quando tu lo vidivi? or co non te morivi--de l'amore afocata? Co non te consumavi--quando tu lo guardavi, ché Dio ce contemplavi--en quella carne velata? Quand'esso te sugea,--l'amor co te facea, la smesuranza sea--esser da te lattata? Quand'esso te chiamava--e mate te vocava, co non te consumava--mate di Dio vocata? O Madonna, quigli atti--che tu avev'en quigl fatti, quigl'enfocati tratti--la lengua m'han mozzata. Quando 'l pensier me struge,--co fai quando te suge? lo lacremar non fuge--d'amor che t'ha legata. O cor salamandrato--de viver sí enfocato, co non t'ha consumato--la piena enamorata? Lo don della fortezza--t'ha data stabilezza portar tanta dolcezza--ne l'anema enfocata! L'umilitate sua--embastardío la tua, ch'ogn'altra me par frua--se non la sua sguardata. Ché tu salist'en gloria,--esso sces'en miseria; or quigna conveneria--ha enseme sta vergata? La sua umilitate--prender umanitate, par superbietate--on'altra ch'è pensata. Accurrite, accurrite,--gente; co non venite? vita eterna vedite--con la fascia legata. Venitel a pigliare,--ché non ne può mucciare, che deggi arcomperare--la gente desperata. III CONTENZIONE INFRA L'ANIMA E CORPO Audite una 'ntenzone--ch'è 'nfra l'anima e 'l corpo; battaglia dura troppo--fin a lo consumare. L'anima dice al corpo:--Facciamo penitenza, ché possiamo fugire--quella grave sentenza e guadagnar la gloria--ch'è de tanta piacenza; portimo onne gravenza--con delettoso amare.-- Lo corpo dice:--Turbome--d'esto che t'odo dire; nutrito so 'n delicii,--nollo porría patire; lo celebr'aio debele,--porría tost'empazire: fugi cotal pensiere,--mai non me ne parlare. --Sozo, malvascio corpo,--lussurioso, engordo! ad omne mia salute--sempre te trovo sordo; sostieni lo flagello--d'esto nodoso cordo, emprende sto discordo--ché t'è ci opo danzare! --Succurrite, vicini,--ché l'anima m'ha morto! alliso, ensanguenato,--disciplinato a torto! o impia, crudele,--ed ad que m'hai redotto? starò sempr'en corrotto,--non me porrò allegrare. --Questa morte sí breve--non mi siría 'n talento. Somme deliberata--de farte far spermento; dagl cinque sensi tollere--omne delettamento, e nullo piacemento--t'agio voglia de dare. --Si da li sensi tollime--li mei delettamenti, siragio enfiato e tristo,--pieno d'encrescementi; torrotte la letizia--nelli tuoi pensamenti; megli'è che mo te penti--che de farlo provare. --La camiscia spògliate--e vesti sto cilizo; la penetenza vètate--che non abbi delizo; per guidardone dónote--questo nobel pannizo, ché de coio scrofizo--te pensai d'amantare. --Da lo 'nferno recastela--questa veste penosa; tesseala 'l diavolo--de pili de spinosa; omne pelo pareme--una vespa orgogliosa; nulla ce trovo posa,--tanto dura me pare. --Ecco lo letto; pòsate,--iace en esto gratizo! lo capezal aguardace--ch'è un poco de paglizo: lo mantellino cuoprite,--adusate col miccio; questo te sia deliccio--a quel che te voglio fare! --Guardate a letto morbedo--d'esta penna splumato! pietre rotonde vegioce--che venner dal fossato; da qual parte volgome,--rompome el costato; tutto son conquassato,--non ce posso posare. --Corpo, surge; lèvate!--ché suona matutino; leva su, sonocchiate--en officio divino; legge nuove emponote--perfine a lo maitino; emprende esto camino--che sempre t'è opo fare. --Como surgo, levomi,--che non aggio dormito? Degestione guastase,--non aggio ancor padito; scorsa m'è la regoma--per lo freddo c'ho sentito; el tempo non è fugito,--lassame ancor posare! --Ed o' staisti a 'mprendere--tu questa medicina? per la tua negligenza--dotte una disciplina; si piú favelli, tollote--a pranzo la cocina; ché questa tua malina--penso de medecare. --Or ecco pranzo ornato--de delettoso pane nero, azemo e duro--che nol rosecára 'l cane! Non lo posso enghiuttire,--sí reo sapor me sane! Altro cibo me dáne,--se me voli sostentare. --Per lo parlar c'hai fatto,--tu lassarai el vino; né a pranzo né a cena--non mangerai cocino; se piú favelli, aspèttate--un grave disciplino; questo prometto almino--non te porrá mucciare. --Recordo d'una femena--ch'era bianca, vermiglia, vestita, ornata, morbeda,--ch'era una maraviglia; le sue belle fateze--lo pensier m'asutiglia; molto sí me simiglia--de potergli parlare. --Or attende 'l premio--de questo c'hai pensato; lo mantello artollote--per tutto sto vernato; le calzamenta lassale--per lo folle cuitato; ed un disciplinato--fin a lo scorticare. --L'acqua che bevo noceme,--caggio 'n etropesía; lo vino, prego, rendeme--per la tua cortesía! Se tu sano conserveme,--girò ritto per via; se caggio 'n'enfermaría,--opo me t'è guardare. --Poi che l'acqua nòcete--a la tua enfermentade e lo vino noceme--a la mia castitade, lassa lo vino e l'acqua--per la nostra sanetade; sostien necessitate--per nostra vita servare. --Prego che non m'occide!--nulla cosa demanno; en veritá promettote--de non gir mormoranno; lo entenzare veiome--che me retorna en danno; che non caggia nel banno--vogliomene guardare. --Se te vorrai guardare--da omne offendemento, sirotte tratta a dare--lo tuo sostentamento; e vorròme guardare--dal tuo encrescemento; sirá delettamento--nostra vita salvare. Or vedete 'l prelio--c'ha l'omo nel suo stato! tante son l'altre prelia,--nulla cosa ho toccato; che non faccian fastidio,--aggiol'abbreviato; finisco sto trattato--en questo loco lassare. IV DE LA PENITENZIA O alta penitenza,--pena en amor tenuta! grand'è la tua valuta,--per te ciel n'è donato. Se la pena teneme,--èmme despiacemento; lo spiacere recame--la pena en gran tormento; ma si aggio la pena--redutt'en mio talento, èmme delettamento--l'amoroso penato. Sol la colpa è 'n'odio--a l'anema ordenata; e la pena gli è gaudio--en vertut'esercetata; lo contrario sentese--l'anema ch'è dannata; la pena è 'n'odiata,--la colpa en delettato. O mirabil odio,--d'omne pena signore! nulla recev'ingiuria,--non se' perdonatore; nullo nemico trovite,--omn'om si è 'n'amore; tu sol el malfattore--degno del tuo odiato. O falso amor proprio,--c'hai tutto lo contraro! molta recepe engiuria--de perdonanza avaro; molti nemici troviti,--null'om te trovi caro; lo tuo vivere amaro--lo 'nferno ha comenzato. O alta penetenza,--en mio odio fondata, atto de la grazia--che fo per gratis data, fuga l'amor proprio--con tutta sua masnata, ché l'anema ha sozata--en bruttura de peccato. En tre modi pareme--divisa penetenza: contrizion è prima--ch'empetra la 'ndulgenza; l'altr'è confessione--che l'anema ragenza; l'altr'è satisfacenza--de deveto pagato. Tre modi fa nell'anima--peccato percussure: la prima offende Dio--ched è suo creatore; la simiglianza tolleglie--ch'avea de lo Signore, e dáse en possessore--del demone dannato. Contrizion adornase--de tre medicamente: contra l'offeso Dio--dágli dolor pognente, contra la deformanza--un vergognar cocente, ed un temor fervente--che 'l demone ha fugato. Per lo temore cacciase--quella malvagia schiera, la simiglianza rendeglse--per la vergogna vera, per dolor perdonase--l'offesa de Dio fera ed en questa manera--corre questo mercato. Confessione pareme--atto de veretade, occultata malizia--redutta a chiaritade; per la bocca reiettase--tutta la 'nfermetade; riman l'uom en sanetade,--dal vizio purgato. Lo satisfare pareme--iustizia en suo atto; fruttificata morte--fece l'arbor desfatto, fruttificata grazia--sí fa l'albor refatto, ciascun senso fa patto--de vivere regolato. L'audito entra en scola--a 'mprendere sapienza, lo viso getta lacreme--per la gravosa offenza, lo gusto entra en regola--en ordinata astinenza, l'odor fa penetenza,--'n'enfermaría s'è dato. E lo tatto puniscese--degli suoi delettamente, li panni molli spogliasi,--vestese panni pognente, de castetate adornase--guardata en argomente, e far de sé presente--a Dio molto è grato. V DE CINQUE SENTIMENTI Cinque sensi mess'on pegno--ciascun d'esser el piú breve; la lor delettanza leve--ciascun briga breviare. Emprima parla l'audito:--I' ho 'l pegno guadagnato; lo sonar ch'aio audito--dal mi' organo è fugato; en un ponto fo 'l toccato--e nulla cosa n'ha tenere; però ve dovería piacere--la sentenzia a me dare. Lo viso dice:--Non currite,--ch'i' ho venta la sentenza; le forme e color che vide,--chiusi li occhi e fui en perdenza; or vedete l'armagnenza--co fo breve abreviata! la sentenza a me sia data--non me par da dubitare. Lo gusto sí dá 'l libello--demostrando sua ragione: --La mia brevetá passa,--questo non è questione; a l'entrar de la magione--doi deta fo 'l passaio e lo delettar que n'aio--che passò co somniare. L'odorato sí demostra--lo breve delettamento: --D'oltramar venner le cose--per aver mio piacemento, spese grande con tormento--ce vedete che fuor fatte; qual me ne remaser parte--voi lo potete iudicare! Lo tatto lussurioso--ce vergogna d'apparire, le deletto puteglioso--lo vergogna proferire, or vedete 'l vil piacere--quegno prezo ci ha lassato! un fetor esterminato--ch'è vergogna mentovare. Non fia breve lo penare--c'ha sí breve delettanza; longo siría a proferire--lo penar esmesuranza; omo, vedi questa usanza--ch'è un ioco di guirmenella; posta ci hai l'anima bella--per un tratto che vòi fare. Anema mia, tu se' eterna,--eterno vòi delettamento; li sensi e lor delettanza--vedi senza duramento; a Dio fa' tuo salimento,--esso sol te può empire; loco el ben non sa finire,--ché eterno è 'l delettare. VI DE LA GUARDA DE SENTIMENTI Guarda che non caggi, amico, guarda! Or te guarda dal Nemico,--che se mostra esser amico; no gli credere a l'iniquo,--guarda! Guarda 'l viso dal veduto,--ca 'l coragio n'è feruto; ch'a gran briga n'è guaruto,--guarda! Non udir le vanetate,--che te traga a su' amistate; piú che visco apicciarate,--guarda! Pon' al tuo gusto un frino,--ca 'l soperchio gli è venino; a lussuria è sentino,--guarda! Guárdate da l'odorato,--lo qual ène sciordenato; ca 'l Signor lo t'ha vetato,--guarda! Guárdate dal toccamento,--lo qual a Dio è spiacemento, al tuo corpo è strugimento,--guarda! Guárdate da li parente--che non te piglien la mente; ca te faran star dolente,--guarda! Guárdate da molti amice,--che frequentan co formice; en Dio te seccan le radice,--guarda! Guárdate dai mal pensiere,--che la mente fon ferire, la tua alma enmalsanire,--guarda! VII DE PERICOLI CHE INTERVENGONO A L'UOMO CHE NON GUARDA BENE EL VISO ED ALTRI SENTIMENTI O frate, guarda 'l viso,--se vuoi ben riguarire! ca mortal ferite a l'alma--spesse fiate fon venire. Dal diavolo a l'alma--lo viso è ruffiano, e quanto può se studia--de mettergliela en mano; se ode fatto vano,--reportalo a la corte; la carne sta a le porte--per le novelle audire. Audita la novella,--la carne fa sembiaglia e contra la rascione--sí dá grande battaglia, e suo voler non smaglia--con la voglia emportuna; se trova l'alma sciuna,--fallase consentire. Conscienzia resiste,--demostra lo peccato: --Dio ne siría offeso--e tu siríe dannato.-- Lo corpo mal vezato--risponde com'è uso: --Dio sí è piatuso,--lo me porrá parcire.-- La veretá risponde:--Tu alleghi falsamente, ché Dio mai non perdona--se non è penitente; pentir sofficiente--non l'hai in tua redetate; partirte dai peccate--con verace pentire.-- La carne dice:--Io ardo,--non lo posso portare, satesfamme esta fiata,--che me possa posare; vogliote poi iurare--de starte sempre suietta; sirò sí casta e netta--che te sirá em piacere.-- Responde la ragione:--Seríe detoperata, e poi da omne gente--seríe sempre adetata; ecco la mal guidata--confusion de parente, che fa tutta sua gente--con gran vergogna gire!-- Lo diavolo ce parla--ed ensegna:--Questa posta tu la puoi far occulta,--d'omne gente nascosta; passa questa giostra,--nullo pensar facciamo; se piú lo 'nduciamo,--tosto porri' empascire.-- Tanti sono li tumulti--e gli émpeti carnale, che la ragion tapina--s'enchina a quisti male; doventa bestiale--e perde omne ragione; tanta confusione--non se porría scoprire. Da poi ch'è caduta,--conscienzia è mordace; l'acqua e lo vento posa,--de stimolar non tace! lo cor perde la pace--e perde l'allegreza e viengli tal tristeza,--non si può reverire. Sospicasi la misera--che 'l saccia omnechivegli; se vede gent'ensemora,--pensa de lei pispigli; se gli vol dar consigli,--non par che ci aian loco; perdut'ha riso e ioco--ed onne alegrez'avere. Borbotanse le cose,--le gente a pispigliare; li parenti sentolo,--coménzate a lagnare; lo cor vorría crepare,--tant'ha 'lbergate doglie! tentat'è de rei voglie--de volerse perire. Lo diavolo ce rieca--mala tentazione: --Que fai, detoperata--d'onne tua nazione? Questa confusione--non è da comportare; molte fa desperare,--en mala morte finire.-- Guarda, non glie credere!--ché gionge al mal el peio; ché questa tua caduta--sí pò aver remeio; contra te fa asseio--de volerte guardare, con pianto confessare;--sí porrai reguarire. Vedete li pericoli--con breve comenzate, che nascon gli omicidii--e guastan le casate; guardateve a l'entrate--che non entre esto foco! si se cce anida loco,--nol porrai scarporire. Or vedete el frutto--del mal delettamento: l'alma el corpo ha posto--en cotanto tormento; síate recordamento,--frate, la guarda fare; se vòi l'alma salvare,--non ce stare a dormire. VIII DE L'ORNAMENTO DELLE DONNE DANNOSO O femene, guardate--a le mortal ferute; nelle vostre vedute--el basalisco mostrate. El basilisco serpente--occide om col vedere, lo viso envenenato--sí fa el corpo morire; pegio lo vostro aspetto--fa l'anime perire da Cristo, dolce sire,--che care l'ha comparate. Lo basilisco ascondese,--non se va demostrando; non vedendo, iacese--e non fa ad alcun danno; peggio che 'l basalisco--col vostro deportanno, l'anime vulneranno--colle false sguardate. Co non pensate, femene,--col vostro portamento quant'anem'a sto secolo--mandate a perdimento? solo col desiderio,--senz'altro toccamento, pur che gli èi en talento,--a l'aneme macellate. Non ve pensate, femene,--co gran preda tollite, a Cristo, dolce amore,--mortal dáite ferite? serve del diavolo,--sollecete i servite; colle vostre schirmite--molt'anime i mandate. Dice che acóncete,--ché piace al tuo signore; ma lo pensier engannate,--ché nogl se' en amore; s'alcun stolto aguardate,--sospezion ha en core che contra lo su onore--facce mali trattate. Lagna poi e fèrite--e tiente en gelosia, vuol saper li luocora--e quegn'hai compagnia; porrate poi l'ensidie,--si t'ha sospetta e ria; non giova dicería--che facce en tuoi scusate. Or vede che fai, femena,--co te sai contrafare! la tua persona piccola--co la sai dimostrare! sotto li piede méttete--ch'una gigante pare, puoi con lo strascinare--cuopre le suvarate. Se è femena pallida,--secondo sua natura, arosciase la misera--non so con que tentura; se è bruna, embiancase--con far sua lavatura; mostrando sua pentura,--molt'aneme ha dannate. Mostrerá la misera--ch'aggia gran trecce avolte; la sua testa adornase--co fossen trecce acolte o de tomento fracedo--o' so pecciòle molte, cosí le gente stolte--da lor son engannate. Per temporal avenesse--che l'om la veda sciolta vedi che fa la demona--colla sua capovolta! le trez'altrui componese--non so con que girvolta; farattece una colta--che paion en capo nate. Que fará la misera--per aver polito volto? porrásece lo scortico--che 'l coio vecchio n'ha tolto; remette 'l coio morbedo,--parrá citella molto; sí engannan l'omo stolto--con lor falsificate. Poi che a la femina--èglie la figlia nata, co la natura formala,--pare una sturciata; tanto lo naso tiraglie,--strengendo a la fiata, che l'ha sí reparata--che porrá far brigate. Son molte che per omene--non fon nullo aconciato; delettanse fra l'altre--aver grand'apparato; non ce pense, misera,--che per van delettato lo cor s'è vulnerato--de molte enfermetate? Non hai potenza, femina,--de poter preliare; ciò che non puoi con mano,--la lengua lasse fare; non hai lengua a centura--de saperle gettare parole d'adolorare--che passan le corate. Non giacerá a dormire--quella che hai ferita; tal te dará percossa--che no ne sirai lita; d'alcun te dará 'nfamia--che ne sirai schernita; menarai poi tu vita--con molte tempestate. Sospicará maritota--che non sie de lui prena; tal glie verrá tristizia,--che gli secará omne vena; acoglieratte en camora--che nol senta vicena; qual ce trarai mena--de morte angustiata! IX CONSIGLIO DE L'AMICO A L'ALTRO AMICO CHE VOGLIA TORNARE A DIO --O frate mio, briga de tornare--nante ch'en morte si' pigliato. Nante che venga la morte,--sí briga de far lo patto; ca 'l tuo ioco è 'n quella sorte--ch'è apresso a udir matto; nante che sia 'l ioco fatto,--briga lassarlo entaulato. --Frate, ciò che tu me dici,--te ne voglio amor portare, ché fai co fan i bon amice--che de l'amico vol pensare; ma ho fameglia governare--che ne so molto embrigato. --Se tu regge la fameglia,--non la regger de l'altroi; al poder tuo t'arsomeglia,--quegne spese far ne pòi; non morir pro i figliol toi;--ca poco n'èi regraziato. --Frate, se l'altrui sí rendo,--giran li me' figli mendicati; nol posso far, tutto m'accendo--de lassargli desolati; dai vicin serían chiamati--figli di quel desprezato. --Frate, or pensa la sconfitta--che non aspetta el pate e 'l [figlio; e sí piglia la via ritta--da mucciar da quel empiglio; e quel ch'aspetta en quel piglio--el figlio e 'l pate è poi legato. --Frate, avuto agio en usanza--ben vestir e ben calzare; non porría soffrir vilanza--en questa guisa desprezare; faríame a deto mostrare:--Ecco l'uomo mal guidato. --Testo a l'amo s'arsimiglia--ca de for ha lo dolzore, e lo pesce, poi che 'l piglia,--sentene poco sapore; dentro trova un amarore--che gli è molto entossecato. --Non porría degiun suffrire--per la mia debeletate; mename a lo morire--le cocin mal frumiate; e sí per mia necessitate--voglio ciò che son usato. --Frate, or pensa le pregiune:--regi e conti ce son stati, e donzelli piú che tune--en tal fame s'on trovati, che i calzar s'on manecati;--con que loto ci on trescato! --Non porría veghiar la notte--e star ritto en orazione; parme cosa tanto forte--de metterme a derenzione; ché, se veghio per stagione,--tutto 'l dí ne vo agirlato. --Or pensa gli encastellati--co so attenti al veghiare! che da for so assediati--da chi lor sí vol pigliare; tutta notte sto a gridare,--ché 'l castel non sia robbato. --Frate, sí m'hai sbagutito--con lo tuo bon parlamento che nel cor sí so ferito--d'un divin accendimento; pigliar voglio pensamento--ch'io non sia piú engannato. Gir ne voglio a lo patrino--ad accusar la mia matteza; meglio m'è esser pelegrino--che d'aver questa riccheza, la qual me mena a la dureza--de quel fuoco acalurato. X COMO DIO INDUCE EL PECCATORE A PENITENZA --Peccator, chi t'ha fidato--che de me non hai temenza? Non consider, peccatore,--ch'io te posso nabissare? ed hai fatto tal fallore--ch'io sí l'ho cagion de fare; t'ho voluto comportare--perché tornasse a penetenza. --O dolcissimo Signore,--prego che sie paziente; lo Nemico engannatore--m'ha sottratto malamente; ritornato so a niente--per la gran mia niquitanza. --Test'è l'anvito che io agio--che pro 'l Nemico m'hai lassato; ed hai creso en tuo coragio---a ciò che t'ha consegliato; el mio consegli' hai desprezato--per la tua grande arroganza. --Lo conseglio me fo dato--ch'io devesse el mondo usare: Da poi che sera' envechiato,--tu te porrai confessare; assai tempo porrai dare--al Signor per perdonanza. --Testo era palese enganno--che te mettivi ad osolare; ché non hai termen d'un anno--ned un'ora pòi sperare; se tu credevi envechiare,--fallace era tua speranza. --La speranza che avea--de lo tuo gran perdonare a peccar me conducea--e facealme adoperare en speranza de tornare--a la fin con gran fidanza. --La speranza del perdono--sí è data a chi la vole; ed io a colui la dono--che del suo peccato dole, non a quel che peccar sole---ha spem ch'io non facci la vegnanza. --Po' 'l peccato avea commesso,--sí dicea del confessare; el Nemico dicea con esso:--Tu nol porrai mai fare; co porrai pena portare--de cusí grande offensanza? --La pena che è portata--en questo mondo del peccato, lebbe cosa è reputata--a pensar de quello stato nel qual l'uomo n'è dannato--per la sua gran nequitanza. --Col sozo laido peccato--me tenea col vergognare e diceame:--En esso stato--tu nol porrai confessare; co porrai al prete spalare--cosí grande abominanza? --Meglio t'è d'aver vergogna--denante al preite mio, che averla poi con doglia--al iudicar che farò io, che mostraraio el fatto tio--en cusí grande adunanza. --Ed io me rendo or pentuto--de la mia offensione ché non so stato aveduto--de la mia salvazione; pregote Dio, mio patrone,--che de me aggi piatanza. --Poi ch'a me te sei renduto,--sí te voglio recepire; e questo patto sia statuto--che non degge piú fallire; ch'io non porría suffrire--cusí grande sconoscenza. XI DE L'ANEMA CONTRITA DE L'OFFESA DI DIO Signore, damme la morte--nante ch'io piú te offenda; e lo cor se fenda--ch'en mal perseverando. Signor, non t'è giovato--mostrarme cortesia; tanto so stato engrato,--pieno di villania! pun' fin a la vita mia--ch'è gita te contrastando. Megli'è che tu m'occidi,--che tu, Signor, sie offeso; ché non m'emendo, giá 'l vidi;--nante a far mal so acceso; condanna ormai l'appeso,--ché caduto è nel bando. Comenza far lo iudicio,--a tollerme la santade, al corpo tolli l'officio--che non agia piú libertade; perché prosperitade--gita l'ha mal usando. A la gente tolli l'affetto,--che nul agi de me piatanza; perch'io non so stato deretto--aver a l'inferme amistanza; e toglieme la baldanza--ch'io non ne vada cantando. Adunense le creature--a far de me la vendetta; ché mal ho usate a tutture--contra la legge deretta; ciascuna la pena en me metta--per te, Signor, vendecando. Non è per tempo el corotto--ch'io per te deggo fare; piangendo continuo el botto--dovendome de te privare, o cor, co 'l poi pensare--che non te vai consumando? O cor, co 'l poi pensare--de lassar turbato amore, facendol de te privare--o' patéo tanto labore? or piagne 'l suo descionore--e de te non gir curando. XII COMO L'ANEMA DEVENTA MORTA PER EL PECCATO Sí como la morte face--a lo corpo umanato, molto peio sí fa a l'anema--la gran morte del peccato. Emprima la morte al corpo--sí glie fa mortal ferita che da omne membro i tolle--e scarporiscene la vita; glie membra perdon l'uso--poi che la vita è finita; l'anema poi s'è partita,--lo corpo torna anichilato. Lo peccato piú che morte--sí fa sua ferita dura; ché a l'alma tolle Dio--e corrompegl sua natura; lo ben non pò operare;--ma li mali en gran plenura cader en tanta affrantura--per cusí vil delettato. Questa morte tol al corpo--la bellezza e 'l colore, e la forma è sí desfatta,--ch'a veder dá un orrore; non se trova sí securo--che nogl generi pavore de veder quel terrore--de l'aspetto desformato. Lo peccato sí fa a l'alma--sí terribele ferita, che glie tolle la bellezza--che da Dio era insignita; chi vedere la potesse--sí glie tollería la vita; la faccia terribilita--crudel morte è 'l suo sguardato. Questa morte sí fa el corpo--putredissimo, fetente; e la puza stermenata--che conturba molta gente; non si trova né vicino--né amico né parente che voglia esser sofferente--de averlo un giorno a lato. Tutta puza che nel mondo--fusse ensemora adunata, solfenal de corpo morto--ed omne puza de privata sí sería moscato ed ambra--po' 'l fetor deglie peccata; quella puzza stermenata--che lo 'nferno ha 'nputedato. Questa morte naturale--a lo corpo par che dia la ferita che gli tolle--omne bona compagnia; d'esto mondo l'ha gettato--che privato fuor ne sia, co se fa la malsanía--che dai sani è separato. Lo peccato sí fa a l'alma--la ferita cusí forte, che li tolle Dio e i santi--e gli angeli con lor sorte; de la chiesa è sbandita--e serrate i son le porte e gli beni i son estorte--che nulla parte i sia dato. Questa morte naturale--dá la sua percussione che la carne sí sia data--a li vermi en comestione; e li vermi congregati--d'esto corpo fon stacione; non è fra lor questione--che 'l corpo non sia devorato. Lo peccato sí fa a l'alma--la terribel sua usanza; ché è data a le demonia--che stia en lor congreganza; non la posson consumare,--fongli mala vicinanza; dangli pene en abondanza--che convene al loro stato. L'ultima che fa la morte--che dá 'l corpo a sepultura; né palazo i dá né corte,--ma è messo en estrettura; la lungheza e la lateza--molto glie se dá a mesura; scarsamente la statura--so la terra è tumulato. Lo peccato mena l'alma--al sepolcro de lo 'nferno; e loco sí è tumulata--che non esce en sempiterno; frate, lassa lo peccato--che te ce mena traenno; poi ch'èi scritto nel quaderno,--averai cotal pagato. XIII COMO L'ANIMA VIZIOSA È INFERNO; E PER LUME DE LA GRAZIA POI SE FA PARADISO L'anema ch'è viziosa--a lo 'nferno è simigliata. Casa è fatta del demono,--halla presa en patremono; la superbia sede en trono--pegio è ch'endemoniata. Socce tenebre d'envidia,--ad onne ben post'ha ensidia; de ben non ci arman vestigia,--sí la mente ha ottenebrata. Ècce acceso fuoco d'ira--che a mal far la voglia tira; volgese d'entorna e gira--mordendo co arabbiata. L'accidia una freddura--ce reca senza mesura posta en estrema paura--con la mente alienata. L'avarizia pensosa--ècce verme che non posa; tutta la mente s'ha rosa--en tante cose l'ha occupata! De serpente e de dragone--la gola fa gran boccone; e giá non pensa la rascione--de lo scotto a la levata. La lussuria fetente,--ensolfato foco ardente, trista lassa quella mente--che tal gente ci ha 'lbergata. Venite gente a odire--e stupite del vedere: enferno era l'anema heri,--en paradiso oggi è tornata. Da lo Patre el lume è sciso,--don de grazia m'ha miso; fatto sí n'ha paradiso--de la mente viziata. Hacce enfusa umilitate,--morta ci ha superbietate che la mente en tempestate--tenea sempre enruinata. L'odio sí n'ha fugato--e lo cor ha 'namorato; nel prossimo l'ha trasformato--en caritate abracciata. L'ira n'ha cacciata fore--e mansueto ha fatto el core, refrenato omne furore--che me tenea ensaniata. E l'accida c'è morta--e iustizia c'è resorta; dirizat'ha l'alma storta--en omne cosa ordenata. L'avarizia n'è deietta--e pietate ce se assetta; larga fa la benedetta--la sua gran lemosinata. Enfrenata c'è la gola,--temperanza ce tien scola; la necessitate sola--quella sí gli è ministrata. La lussuria fetente--è cacciata da la mente; castetate sta presente--che la corte ha relustrata. O cor, non essere engrato--tanto ben che Dio t'ha dato! vive sempre ennamorato--con la vita angelicata. XIV COMO LI VIZI DESCENDONO DA LA SUPERBIA La superbia de l'altura--ha fatte tante figliole; tutto 'l mondo se ne dole--de lo mal che n'è scontrato. La superbia appetisce--omne cosa aver soietta; soprapar non vol niuno--e glie qual non gli deletta; glie menor mette a la stretta,--ché non i pò far tanto onore quanto gli apetisce el core--del volere sciordenato. Aguardando a soi maiure,--una invidia c'è nata; non la puote gettar fuore,--teme d'esser conculcata; l'odio sí l'ha 'mpreinata,--ensidie va preparando per farglie cader en bando,--ché del lor sia menovato. Per poter segnoregiare--sí fa giure ne la terra, e le parte ce fa fare--donde nasce molta guerra; lo suo cor molto s'aferra--quel che pensa non pò avere, l'ira sí lo fa ensanire--como cane arabbiato. Puoi che l'ira è su montata--e nel cor ha signoría, crudeltate è aparechiata--de star en sua compagnia; de far grande occidería--non li par sufficienza tant'è la malavoglienza--che nel cor ha semenato. Puoi che l'ira non pò fare--tutto quanto el suo volere, una accidia n'è nata,--entra 'l core a possedere; omne ben li fa spiacere,--posta è 'n'estremo temore, le merolle i secca en core--del tristor c'ha albergato. L'accidia molto pensosa--va pensando omne viagio; se l'aver ce fosse en alto,--empieríase el tuo coragio; l'avarizia che al passagio--entra a posseder la corte, destregnenza sí fa forte--ad ogne uscio far serrato. Ha sospetta la fameglia--che non i vada el suo furando; moglie, figli, nuore e servi--tutti sí va tribulando; or vedessi mal optando--che fa tutta la famiglia! ciascun morte gli asimiglia--d'esto demone encarnato. Rape, fura, enganna e sforza;--non ce guarda mal parere con guai l'omo ch'è 'mponente--che gli aiace el suo podere; ché gli menaccia de ferire--se 'l poder suo non li dona; entorno non ci arman persona--che da lui non sia predato. Or vedessi terre, vigne,--orta, selve per legnare! auro, argento, gioie e gemme--ne li scrigni far serrare, e molina a macenare,--bestie grosse e menute, case far fare enfenute--per servar suo guadagnato. El biado serva en anno en anno,--ch'aspetta la caristía; poi che guasto el se manduca,--en casa mette dolentía; or vedessi blasfemía--che la sua fameglia face! Esbandita n'è la pace--de tutto el suo comitato. Se la sua fameglia è grasa,--èglie gran despiacemento; el pane e 'l vin che va en casa--mette en suo reputamento; or vedessi iniuramento:--O fameglia sprecatrice! da Dio sí la maledice--ch'el ben suo s'on manecato. O avaro, fatt'hai enferno--mentre la tua vita dura; e de l'altro pres'hai l'arra;--aspetta la pagatura! o superbia de l'altura,--vedi ove sei redutta! l'onoranza tua destrutta,--da ogne gente se' avilato. Cinque vizia ne l'alma,--che de sopra agio contate, lo superbo, envidioso--ed iroso accidiate, l'avarizia toccate,--due ne regnan ne la carne che tutto sto mondo spanne:--gola e lussuriato. L'avarizia ha adunato--e la gola el se devura; en taverne fa mercato:--per un bicchiere una voltura; or vedessi sprecatura--che se fa de la guadagna! la lussuria l'acompagna--che sia vaccio consumato. Tutta spreca una contrata--per aver una polzella; or vedete sta brigata--a que è dutta sta novella! anema mia tapinella,--guárdate da tal ostiere! lo cielo te fon perdere--e lo 'nferno ha' redetato. XV COMO L'ANEMA RETORNA AL CORPO PER ANDARE AL IUDICIO --O corpo enfracedato,--io so l'anima dolente; lièvate amantenente--ché sei meco dannato. L'agnolo sta a trombare--voce de gran paura; opo n'è appresentare--senza nulla demora, stavimi a predicare--che non avesse paura, male te credette alora--quando feci el peccato. --Or se' tu l'alma mia--cortese e conoscente! puoi che t'andasti via,--retornai a niente; famme tal compagnia--che io non sia dolente, veggio terribel gente--con volto esvaliato. --Queste son le demonia--con chi t'è opo abitare; non t'è opo far istoria;--que te oporá portare non me trovo en memoria--de poterlo narrare; se ententa fosse el mare---non ne siría pontato. --Non ce posso venire,--ché so en tanta afrantura che sto su nel morire,--sento la morte dura; sí facisti al partire:--rompesti omne iuntura, recata hai tal fortura--che ogne osso m'ha spezato. --Como da tene a mene--fo apicciato amore, semo reiunti in pene--con eterno sciamore; l'ossa contra le vene,--nervi contra iunture; sciordenati onne umure--de lo primero stato. --Unquanco Galieno,--Avicenna, Ipocrate non sapper lo conveno--de mei enfermetate; tutte enseme iongono--e sòmmese adirate; sento tal tempestate--che non vorría esser nato. --Lièvate, maledetto,--ché non poi piú morare; ne la fronte n'è scritto--tutto el nostro peccare; quel che nascusi a letto--volevamo operare oporasse mostrare--vegente onne omo nato. --Chi è questo gran sire--rege de grande altura? sotterra vorría gire--tal me mette paura; ove porría fugire--da la sua faccia dura? terra, fa copretura!--ch'io nol veggia adirato. --Questo sí è Iesú Cristo,--lo figliolo di Dio; vedenno el volto tristo,--spiacegli el fatto mio; potemmo fare acquisto--d'aver lo regno sio; malvagio corpo e rio,--or que avem guadagnato! XVI COMO L'APPETITO DE LAUDE FA OPERARE MOLTE COSE SENZA FRUTTO --Que fai, anema predata?--Faccio mal ché so dannata. Agio mal ché infinito--omne ben sí m'è fugito; lo ciel sí m'ha sbandito--e lo 'nferno m'ha 'lbergata. --Dáime desperazione--de la mia condizione pensando la perfezione--de la vita tua ch'è stata. --Io fui donna religiosa,--settant'anni fui renchiosa; iurai a Cristo esser sposa--or so al diavolo maritata. --Qual è stata la cagione--de la tua dannazione, ché speravan le persone--che fosse canonizata? --Non vedeano el magagnato--che nel core era occultato; Dio, a cui non fo celato,--ha scoperta la falsata. Vergene me conservai,--el mio corpo macerai, ad om mai non guardai,--ché non fosse poi tentata. Non parlai piú de trent'agne--como fon le mie compagne; penetenze fece magne,--piú che non ne fui notata. Degiunar mio non esclude--pane ed acqua ed erbe crude, cinquant'anni entier compiude--degiunar non fui alentata. Cuoi de scrofe toserate,--fun de pelo atortigliate, cerchi e veste desperate--cinquant'anni cruciata. Sostenetti povertate,--freddi, caldi e nuditade; non avi l'umilitate,--però da Dio fui reprovata. Non avi devozione--né mentale orazione; tutta la mia entenzione--fo ad essere lodata. Quando udía chiamar la santa,--lo mio cor superbia enalta; or so menata a la malta--con la gente desperata. S'io vergogna avesse avuta,--non siría cusí peruta, la vergogna avería apruta--la mia mente magagnata. Forse me siría corressa,--che non sería a questa opressa; l'onoranza me tenne essa--ch'io non fosse medecata. Oimè, onor, co mal te vide--ca 'l tuo gioco me occide; begl me costa el tuo ride,--de tal prezo m'hai pagata! Se vedessi mia figura--moreri' de la paura; non porría la tua natura--sostener la mia sguardata. L'anema ch'è viziosa--orribil è sopr'onne cosa; tal dá puza estermenosa--en omne canto è macellata. O penar, non sai finire--né a fin giamai venire; sí perseveri tuo ferire--como fosse comenzata. Non fatiga el feredore,--el ferito non ne more, or te pensa el bello amore--che sta en questa vicinata. La pena è consumativa,--l'alma morta sempr'è viva e la pena non deriva--de star sempre en me adizata. --Penso ch'io sirò dannato,--nullo bene agio operato e molto male acumulato--en la mia vita passata. --Frate, non te desperare;--paradiso poi lucrare se te guarde dal furare--l'onor suo che t'ha vetata. Teme, serve e non falsare--e combatte en adurare si e' 'n bon perseverare,--proverai l'umiliata[1]. NOTE: [1] Le tre stanzie sequente erano in alcuni libri inanti le tre ultime: O lamento mio lamento,--o lamento con tormento, o lamento co m'hai tento,--de tal machia m'hai sozata! O corrotto mio corrotto,--o corrotto pien de lotto, o corrotto o' m'hai adotto,--che sia nel foco soterrata? Conscienzia mia mordace,--tuo flagello mai non tace; tolta m'hai dal cor la pace--e con Dio scandalizata. (Nota del Bonaccorsi). XVII DE FRATE RANALDO, QUALE ERA MORTO Frate Ranaldo, dove se' andato?--de quolibet sí hai disputato? Or lo me di', frate Ranaldo,--ché del tuo scotto non so saldo; se èi en gloria o en caldo--non lo m'ha Dio revelato. Honne bona conscienza--che 'l morir te fo en pazienza; confessasti tua fallenza--absoluto dal prelato. Or ecco iá la questione:--se avesti contrizione, quella ch'è vera onzione--che destegne lo peccato. Or sei ionto a la scola--ove la veritá sola iudica omne parola--e demostra omne pensato. Or sei ionto a Collestatte--do' se mostra li toi fatte; le carte son fore tratte--del mal e ben c'hai oprato. Ché non giova far sofismi--a quelli forti siloismi, né per corso né per risme--che lo vero non sia apalato. Conventato se' en Parese--a molto onor e grande spese; ora èi ionto a quelle prese--che stai en terra attumulato. Aggio paura che l'onore--non te tragesse de core a tenerte lo menore--fratecello desprezato. Dubito de la recolta--che dal debito non sia sciolta, se non pagasti ben la colta--che 'l Signor t'ha comandato. XVIII COMO L'OMO È ACECATO DAL MONDO Omo, tu se' engannato,--ché questo mondo t'ha cecato. Cecato t'ha questo mondo--coi delette e col sogiorno e col vestimento adorno--e con essere laudato. Li deletti c'hai avuti,--mo que n'hai? Pages: | 1 | | 2 | | 3 | | 4 | | 5 | | 6 | | 7 | | 8 | | 9 | | 10 | | 11 | | 12 | | 13 | | 14 | | 15 | | 16 | | 17 | | 18 | | 19 | | 20 | | 21 | | 22 | | 23 | | 24 | | 25 | | 26 | | 27 | | 28 | | 29 | | 30 | | 31 | | 32 | | 33 | | 34 | | 35 | | 36 | | 37 | | 38 | | 39 | | 40 | | 41 | | 42 | | 43 | | 44 | | 45 | | 46 | | 47 | | 48 | | 49 | | Next | |
Your last read book: You dont read books at this site. |